Quarant’anni fa, il 28 novembre 1978 a Sendai, scompariva Carlo Scarpa. Cosa rimane delle sua lezione artistica e progettuale? Abbastanza, ma non quanto potrebbe ancora esserci. Come altri grandi artisti – Franco Albini, Luigi Moretti, Carlo Mollino, e l’elenco sarebbe lungo, la sorte non è stata proprio benevola con lui. E’ curioso come nel Bel Paese (dove si suona e si ruba) è più facile che si conservi un ecomostro, frutto del malaffare e dell’idiozia di qualche imbecille, piuttosto che un’opera di alto valore sociale e artistico. In Italia buttare bambino e acqua sporca è la prassi, lo sappiamo, no? Dunque molte opere sono scomparse mentre Scarpa era ancora in vita, altre ci stanno lasciando adesso. La Gipsoteca di Possagno, tanto ammirata dai turisti che si fanno i selfie con la Danzatrice coi Cembali (che spero non sia in tournee), è finita nelle peggiori mani in cui poteva finire: nelle mani di uno che pensa, dato che non vede una cippalippa, che il protagonismo di Scarpa abbia “mortificato” il povero Canova. Pensare che i due si amavano alla follia. E questo idillio, che durava dal 1957, è stato di fatto brutalmente interrotto. Chi visita Possagno ora non può rendersene conto. Un triste esempio di fake history, uno fra i tanti che stanno proliferando nel nostro povero paese. Io che conosco lo storia, perché è il mio mestiere conoscerla, so bene quello che avete perso e mi dispiace per tutti quelli che non hanno visto lo splendore di quella “corrispondenza di amorosi sensi”, così come Scarpa l’ha pensato. Prima ancora ci avevano lasciati le sezioni storiche del Museo Correr, buona parte delle Gallerie dell’Accademia. Castelvecchio ha perso dei pezzi importanti, e speriamo finisca li. Ma chi lo sa? Magari arriva uno di questi super dirigenti che vuole svecchiare il “matusa”: alza la gambetta e segna il territorio. Mi sembra giusto, no? Chi può impedire che il nulla cresca? Costa tanto, non serve a niente, dunque è davvero in linea coi tempi e con lo spirito italico. Negli ultimi giorni, un giovane direttore di un importante museo italiano, pieno di cose belle e fragili, ora in balia del suo ego, ha detto pubblicamente (ma lo dimostra anche coi fatti, sia chiaro) che il metodo scarpiano è stato contestato a livello internazionale ed è (giustamente) superato. Cosa avrà inteso dire il nostro manager culturale, pappa&ciccia con questo e quello, che vuole mettere a resa la sua grassa mucca, pardon il suo grande museo? Ma di quale metodo sta parlando? Quello che portava Scarpa a conoscere le opere d’arte e quindi offrirle al pubblico? Il metodo di fare del museo un luogo di conoscenza, ovvero un esempio vivente di democrazia? Di cosa stiamo parlando? Sissignori, stiamo parlando di educazione. Un parola davvero troppo imbarazzante, al giorno d’oggi. Educazione alla bellezza, alla conoscenza, alla condivisione di valori di alto significato sociale, oltre che culturale. Questa è la chiave di tutto. Educare, educarsi, essere educati. Questo ha fatto Carlo Scarpa per tutta la sua vita, con le parole, i disegni, le architetture. E avere una curiosità insaziabile, una sete che non si estingue mai. La sua lezione, dopo quasi vent’anni che la studio, ha il potere di affascinarmi, sorprendermi e convincermi ancora. Migliaia di disegni raccontano come Scarpa ricercasse, con passione, rigore e sacrificio, qualcosa che sarebbe diventato patrimonio di tutti. Niente storytelling, gente, tutto vero.
Grazie, Scarpa. Viva, Scarpa.