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Picco massimo

18 agosto 2009

Uno dei miei passatempi preferiti (a parte scrivere su questo pregevole diffusore di aria fritta) è approntare un vago itinerario, salire in macchina e lasciare che sia il caso a decidere i dettagli. È un classico delle ferie (non so se in campagna si usi questo termine per abitudine o perché il villico veneto non avendo il dono della zeta dice “vacanSa”, che suona assai poco scicc). Mi piace ugualmente se vado in una città che non conosco, girarla senza mappa, a tentoni. Avere un’area da esplorare e lasciare che siano le cose che vorrei vedere, che so che sono li, da qualche parte, a venirmi incontro. Funziona sempre. Mi viene in mente (ma solo per il senso, non certo per i risultati) quella frase del più famoso pittore del Novecento: “io non cerco, trovo”.

Ebbene, questo rosario di sciocchezze mi serve solo per mostrarvi una delle mie ultime trovate. La trovai in un giorno che c’era ancora la neve e andai a ritrovarla questa settimana. Un colpo di fulmine fu. Lasciando la strada che da Bassano porta ad Asiago, circa cinque km prima di arrivare nella ridente cittadina, perla dell’Altopiano dei Sette Comuni (che come i sette nani, non si riesce mai a nominarli tutti, ovviamente), si prende sulla destra la via che va alla località Sasso, quella che casualmente pigliai quel dì. Al bivio, un timido cartello segnala: Monumento a Roberto Sarfatti, arch. Giuseppe Terragni, 1934-35. terragni 1Proseguite fiduciosi, la valle è bellissima. Se dopo la centesima muccarella che contate avete perso le speranze di vedere un qualche segno architettonico e state per fermarvi in malga a comprare un kilo del superbo formaggio locale, resistete ancora un pò: il cartello rispunta. Salite, salite, salite, salite e vi troverete faccia a faccia col nanetto qui presente. Personalmente, non ho mai vista una combinazione di forme così monumentale a questa scala. Incarnazione vivente di quando profetizzato F.LL.Wright: “il “monumento”, lo si considera ancora in base alla sua dimensione ed altezza, che non è in sé naturale, ma tenta di tener testa alla sindrome antica, cronica, della colonna, del pilastro e del cornicione. Nella natura della vita, altezza non dovrebbe significare il semplice levarsi in alto, ma costituire l’espressione bella di un’aspirazione”. terragni 2Qui, l’aspirazione di Terragni di personificare storia e memoria passa attraverso una esattezza linguistica, per me, sconvolgente. E dimostra, oltre ogni dubbio, come il monumentale non dipenda in alcun modo dalle dimensioni dell’oggetto, ma dalla “volontà di forma” che l’oggetto è chiamato ad esprimere. Quando ho visto da vive le opere di Wright a Chicago, davvero minuscole ma eversivamente monumentali, mi sono resa conto che è la retorica del discorso architettonico (nel senso del valore sovrastorico del messaggio racchiuso in esso) a creare quell’aura di grandezza che trovi tanto nella cucina della sua casa di Oak Park, quanto nello Unity Temple; nulla a che fare con la dimensione metrica. La Robie house sembra il modellino della Robie, eppure è perfetta nelle sue proporzioni e nessuna parte sembra debole o irrisolta. Sono convinta che se Carlo Scarpa non avesse “cannibalizzato” dal vero le opere dell’amato vecchione americano (il viaggio negli States è del 1967), non sarebbe riuscito a orchestrare quell’ineffabile racconto monumentale a scala umana che è la Tomba Brion.

Ma il monumento a Sarfatti è un’altra storia. Terragni non ha bisogno di spiegare: il significato del memento coincide con la sua stessa esistenza.

  info: www.sassodiasiago.it/roberto_sarfati.htm