Archive for the ‘Architettura – monumenti’ Category

Profilo greco

14 giugno 2010

Il nostro caro amico Francisco del Corral ci regala queste meraviglie elleniche. Grazie mille.

Scala reale

2 settembre 2009

Per chiudere la stagione delle gite (che sta diventando noiosa) devo segnalare un ultimo luogo, forse un pò lontano dai circuiti consueti, ma imperdibile  per chi ami la landart  (come dice il nostro amico Bosega). È il monumento ai 100mila caduti della prima guerra mondiale di Redipuglia, inaugurato nel 1938.

redipuglia 1

L’abilità di Giovanni Greppi, qui affiancato dallo scultore Giannino Castiglioni, di gestire l’estensione territoriale del monumento è strabiliante: come nel caso del Sacrario del Grappa, che rifà letteralmente la punta al monte, la pendice carsica viene rimodellata dall’architettura. Se da un punto di vista simbolico la formula progettuale è quella consueta per un sacrario, dall’antichità in qua (Palestrina? Tivoli? Walhalla? la scalinata implica l’ascesa, e quindi la progressiva purificazione del visitatore/penitente, fino all’ingresso al tempio sulla sommità e così via), la qualità del lavoro di Greppi nasce dal controllo simultaneo delle singole parti e dell’insieme, che è tutto dire a questa scala. redipuglia 2Una gerarchia monumentale, ma mai rigida, ottenuta con dei semplici, quasi impercettibili, cambi di assi e di quota. Solo percorrendo questo “cretto” cartesiano, ci si rende conto della sprezzatura che ne controlla le forme. Interessante anche  il museo ai piedi del complesso, zeppo di “cimeli” di guerra. Certi arnesi sembrano quelli delle giostre medievali. Che rovina, pensare quante ce ne sono ancora vive, di guerre. Sconvolge.

L’altro luogo che ho amato in questa estate che sta finendo (e un anno se ne va) è Brescia, una città che non conoscevo punto, piacevole da tutti i punti di vista. A parte piazza della Loggia, da rimanere senza fiato, capitelli brasciale vestigia romane o il duomo vecchio e nuovo, idem, un giro per il museo di Santa Giulia è l’equivalente di un viaggio nel tempo e negli spazi siderali. Un formula meno retorica non renderebbe l’idea delle meraviglie che trovate passando di sala in sala. A parte i musei romani, nei musei “normali” ci sono, generalmente, dei picchi di qualità, poi cose meno belle, poi qualche starlette sotto i riflettori, ecc. ecc. Qui ogni periodo è testimoniato da sculture, bassorilievi, pitture, oggetti vari di tale fattura ed eloquenza (fino a incappare, opssss, in Raffaello), da uscirne ubriachi. Citando quello di cui dirò prossimamente: le arti “per un cuore mortale sono un oppio divino”. Amen. Ovviamente anche la sede del museo è uno spettacolo: l’architettura del convento è un palinsesto di trame storiche (da Roma al Settecento, più o meno) che si svela al visitatore in continuazione. Sono stata assai fortunata, poiché resa edotta da uno studioso bresciano di perfetterrima fama, cui bascio le mani. Grazie assai.

W gli alpini!

Picco massimo

18 agosto 2009

Uno dei miei passatempi preferiti (a parte scrivere su questo pregevole diffusore di aria fritta) è approntare un vago itinerario, salire in macchina e lasciare che sia il caso a decidere i dettagli. È un classico delle ferie (non so se in campagna si usi questo termine per abitudine o perché il villico veneto non avendo il dono della zeta dice “vacanSa”, che suona assai poco scicc). Mi piace ugualmente se vado in una città che non conosco, girarla senza mappa, a tentoni. Avere un’area da esplorare e lasciare che siano le cose che vorrei vedere, che so che sono li, da qualche parte, a venirmi incontro. Funziona sempre. Mi viene in mente (ma solo per il senso, non certo per i risultati) quella frase del più famoso pittore del Novecento: “io non cerco, trovo”.

Ebbene, questo rosario di sciocchezze mi serve solo per mostrarvi una delle mie ultime trovate. La trovai in un giorno che c’era ancora la neve e andai a ritrovarla questa settimana. Un colpo di fulmine fu. Lasciando la strada che da Bassano porta ad Asiago, circa cinque km prima di arrivare nella ridente cittadina, perla dell’Altopiano dei Sette Comuni (che come i sette nani, non si riesce mai a nominarli tutti, ovviamente), si prende sulla destra la via che va alla località Sasso, quella che casualmente pigliai quel dì. Al bivio, un timido cartello segnala: Monumento a Roberto Sarfatti, arch. Giuseppe Terragni, 1934-35. terragni 1Proseguite fiduciosi, la valle è bellissima. Se dopo la centesima muccarella che contate avete perso le speranze di vedere un qualche segno architettonico e state per fermarvi in malga a comprare un kilo del superbo formaggio locale, resistete ancora un pò: il cartello rispunta. Salite, salite, salite, salite e vi troverete faccia a faccia col nanetto qui presente. Personalmente, non ho mai vista una combinazione di forme così monumentale a questa scala. Incarnazione vivente di quando profetizzato F.LL.Wright: “il “monumento”, lo si considera ancora in base alla sua dimensione ed altezza, che non è in sé naturale, ma tenta di tener testa alla sindrome antica, cronica, della colonna, del pilastro e del cornicione. Nella natura della vita, altezza non dovrebbe significare il semplice levarsi in alto, ma costituire l’espressione bella di un’aspirazione”. terragni 2Qui, l’aspirazione di Terragni di personificare storia e memoria passa attraverso una esattezza linguistica, per me, sconvolgente. E dimostra, oltre ogni dubbio, come il monumentale non dipenda in alcun modo dalle dimensioni dell’oggetto, ma dalla “volontà di forma” che l’oggetto è chiamato ad esprimere. Quando ho visto da vive le opere di Wright a Chicago, davvero minuscole ma eversivamente monumentali, mi sono resa conto che è la retorica del discorso architettonico (nel senso del valore sovrastorico del messaggio racchiuso in esso) a creare quell’aura di grandezza che trovi tanto nella cucina della sua casa di Oak Park, quanto nello Unity Temple; nulla a che fare con la dimensione metrica. La Robie house sembra il modellino della Robie, eppure è perfetta nelle sue proporzioni e nessuna parte sembra debole o irrisolta. Sono convinta che se Carlo Scarpa non avesse “cannibalizzato” dal vero le opere dell’amato vecchione americano (il viaggio negli States è del 1967), non sarebbe riuscito a orchestrare quell’ineffabile racconto monumentale a scala umana che è la Tomba Brion.

Ma il monumento a Sarfatti è un’altra storia. Terragni non ha bisogno di spiegare: il significato del memento coincide con la sua stessa esistenza.

  info: www.sassodiasiago.it/roberto_sarfati.htm